Blog | 4 Aprile 2022 | Fabio Ciarla
Podernuovo a Palazzone, la discrezione come chiave di lettura di un’azienda
Visita e degustazione verticale del Cabernet Franc in purezza “Argirio”
Giovanni Bulgari è fondamentalmente una persona riservata, si potrebbe forse descriverlo come un anti-divo, e proprio questo aspetto lo rende diverso e forse più autentico di tanti altri. Il suo cognome è di quelli pesanti – sì, fa parte di “quella” famiglia Bulgari (e ci sarebbe da raccontare la storia meravigliosa di Sotirios Bulgari che a fine Ottocento dalla Grecia si trasferì in Italia alla ricerca di fortuna, ma non è questo il contesto) che in poche generazioni si è imposta nel mondo come esempio e riferimento nella gioielleria di altissimo livello – ma la cosa sembra non riguardarlo. L’azienda agricola fondata da Giovanni Bulgari, che pure nell’ambito delle pietre preziose continua a lavorarci, si trova tecnicamente in Toscana, a Palazzone in provincia di Siena e vicino a San Casciano dei Bagni, ma in un fazzoletto di terra a ridosso sia dell’Umbria (Città della Pieve il centro più vicino e caratteristico) sia del Lazio (a poca distanza il borgo di Trevinano conosciuto da molti per il ristorante “La Parolina”, 1 Stella Michelin). La visita di “Podernuovo a Palazzone” è stata un’occasione importante per confermare le sensazioni avute nelle prime degustazioni dei vini di qualche tempo fa, ma anche un modo di conoscere più approfonditamente Giovanni e gli uomini/donne-chiave del progetto.
Parliamo di un’azienda che ha preso vita nel 2004 con 40 ettari, oggi 50, dei quali solo 26 vitati ma distribuiti su due areali diversi. I vitigni rossi sono a Palazzone appunto, per 22 ettari complessivi, mentre i 4 ettari di vitigni bianchi sono a Corbara, in Umbria, dove la famiglia aveva altre proprietà. Nel 2007 la prima vendemmia, poi una serie di perfezionamenti dell’identità e del percorso da fare. Un cambio di enologo e di progettazione della nuova cantina (nel 2010) entrambi nel solco del personaggio Giovanni Bulgari, la scelta ricade su idee e stili funzionali e non di immagine, dalla cantina di design si arriva alla struttura attuale (opera dello studio Alvisi e Kirimoto) contraddistinta da un’idea di bellezza elegante e quasi mimetizzata nella natura. Il rispetto dell’ambiente diventa una linea guida in vigneto e non solo, il tetto della cantina è un giardino che aiuta a tenere isolati termicamente gli ambienti sottostanti. Il fotovoltaico e il geotermico contribuisco a rendere quasi autosufficiente l’azienda dal punto di vista energetico, mentre tra i filari la conduzione è praticamente in biologico anche se al momento non certificata. Acciaio, cemento e legno per la lavorazione e l’affinamento dei vini, con una serie di innovazioni tecnologiche tagliate su misura dalla squadra – affiatata – di collaboratori di Giovanni, che pure fa sentire la sua presenza e il suo modo di intendere il vino.
La scoperta dal vivo dell’azienda serve anche a visitare una delle zone meno famose e più “normali” della Toscana, strano a dirsi ma potremmo definirla quasi vergine dal punto di vista vitivinicolo, il che ha aperto la porta alla sperimentazione. Giovanni Bulgari per i rossi punta sul sangiovese certo, ma anche sugli internazionali più diffusi come Cabernet Sauvignon e Merlot, per fare poi una bella scoperta con il Cabernet Franc. E proprio a questo vitigno e in purezza, sicuramente il meno diffuso tra i due Cabernet anche per via del suo profilo difficile, è stato dedicato uno dei vini di punta dell’azienda, l’Argirio. Un arricchimento interessante quindi la verticale dedicata a questo vino, con la splendida guida di Leonardo Romanelli, che ha visto nel bicchiere le annate 2009, 2011, 2013, 2014, 2015 e 2016 (con un’anteprima 2017 non ancora in commercio). Un vino che è cresciuto nel tempo, passando da 5.000 bottiglie della prima annata alle quasi 20.000 attuali. Un aumento dovuto anche alla maggiore consapevolezza della buona interazione del vitigno con le argille della zona, colline ben esposte con crinali tra i 300 e i 400 metri slm. Il Cabernet Franc qui riesce ad esprimersi ma a patto di arrivare a completa maturazione, meglio – così ci raccontano a Podernuovo a Palazzone – che si “cuocia” un po’ piuttosto che arrivi in cantina leggermente acerbo, in quale caso “è inutilizzabile” specificano. Analisi chimiche e poi organolettiche, quando è ora si vendemmia e si comincia un lavoro che non si ispira a nessun riferimento estero, l’idea è quella di dar seguito a questo incontro spontaneo, reso più interessante dal tempo. La verticale ha preso inizio dall’annata più vecchia, la 2009, dimostrando una certa ruvidezza al palato dopo un naso invece molto interessante. Già nella 2011, forse anche per una stagione più mite, il vino ha espresso meglio sentori di cuoio e note balsamiche, mentre al palato si sono messe in evidenza sapidità ed equilibrio. La 2013 è stata forse la più “varietale” della batteria, almeno a livello olfattivo, con note vegetali ad accompagnare la frutta matura, fino al classico cioccolatino con ciliegia sotto spirito. Al palato morbidezze in evidenze e chiusura con un pizzico di amaricante. Finale che torna anche nella 2014 dove regnano al palato l’intensità e il calore, mentre al naso si sentono frutta matura e alcuni terziari ancora in via di definizione. Con la 205 e la 2016 siamo nel regno della giovinezza, frutti rossi e note vegetali al naso, bel carattere in bocca con necessità di integrarsi ancora. Sulla 2017 mi sento di poter dire poco per evitare giudizi affrettati, ma mi ha colpito il frutto vivido al palato e una bella sapidità, mi sembra un’ottima annata in prospettiva insomma.
Saluto, con un arrivederci, un’azienda e un personaggio probabilmente diversi da molti altri presenti nel panorama vitivinicolo italiano, un binomio dove l’aspetto umano è sempre presente ma mai invasivo. In conclusione vini da tenere d’occhio…
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