Comunicati | 15 Dicembre 2021 | Fabio Ciarla
l Pangiall’Oro di Angelo Colapicchioni
Il dolce del Natale di Roma
Il forno della famiglia Colapicchioni è una vera istituzione per Roma e i romani. Dal 1934 in quel di Via Tacito (76-78) nel quartiere Prati i Colapicchioni, di generazione in generazione, sfornano pane, pizza, dolci e recuperano tradizioni spesso dimenticate come nel caso del Pangiall’Oro. “Non ho mai capito come fosse possibile che una città come Roma, che sulla sua storia millenaria ci ha costruito i fasti della città Caput Munti, abbia di contro completamente dimenticato di valorizzare il suo dolce di Natale”. A parlare è Angelo Colapicchioni, terza generazione di fornai della sua famiglia “Io sono nato a Roma, dove la mia famiglia si è trasferita negli anni 20. Mia nonna è stata una delle prime panificatrici dell’alto Lazio. Le mie radici affondano nella Sabina”. Angelo parla con trasporto, la storia della sua famiglia e del forno, dal 1934 ad oggi si sono fuse in un unico grande racconto “Sono nato tra la farina, il mio futuro professionale e non solo, era ovviamente scritto”. Quindi Angelo sin da giovanissimo si scopre inevitabilmente fornaio nel panificio di famiglia, legato profondamente al suo lavoro ma anche alla città che l’ha visto nascere e in cui il forno di via Tacito ha sempre lavorato alacremente. Ed è proprio l’amore verso la sua città ha spinto Angelo a cercare tra la storia di Roma trovando le origini di un dolce del periodo imperiale, la cui storia si perde nella notte dei tempi. Parliamo di una preparazione a base di miele, frutta secca; il primo a parlarne fu Marco Gavio Apicio nel suo “De Re Coquinaria”. Lo scrittore latino raccontava questo dolce facendo riferimento alle sue povere origini e che, come tantissime preparazioni che caratterizzano ancora oggi la cultura culinaria capitolina, era il frutto del recupero di scarti. Frutta secca, miele, in qualche occasione mosto d’uva il tutto impastato e cotto insieme al pane nei forni di terra cotta. Sempre la storia ci racconta che il pangiallo veniva realizzato nel periodo natalizio, per poi offrirlo in dono. Ma di fatto questa usanza è andata persa e solo la passione e l’intraprendenza di Angelo Colapicchioni hanno reso possibile il recupero di una ricetta storica, che però era ingiustificatamente caduta nel dimenticatoio. Il signor Colapicchioni si documenta, legge il De Coquinaria per capirne le origini, analizza gli ingredienti e poi nel 1977 decide di dare nuova vita a questo dolce: nasce il Pangiall’Oro del forno Colapicchioni. La ricetta è quella raccontata da Apicio nel 1° secondo d.c., Angelo l’ha perfezionata semplicemente scegliendo gli ingredienti migliori (le nocciole laziali, il pistacchio di Bronte, il miele biologico, frutta candita, cioccolato fondente, mandorle siciliane o pugliesi) rivestendo poi la pagnotta con un involucro a base di uova che conferisce al dolce quel colore dorato da cui ha origine il nome Pangiall’Oro che verrà brevettato nel 2002 visto il successo riscontrato presso la clientela. Angelo ci tiene a precisare che il dolce, anche se è profondamente legato alle festività natalizie, nel suo forno di via Tacito è sempre disponibile; del resto nel corso degli anni è diventato il prodotto di punta di Colapicchioni tanto da meritarsi una targa rossa con scritta dorata anche nell’altra sede di via Properzio.
Il Pangiall’Oro è anche stato protagonista di interessanti “rivisitazioni” come quella nata grazie ad un sacchetto di pepe nero. Un giorno un amico andò a fargli visita nel laboratorio di via Tacito e oltre ai saluti gli portò un sacchetto del pregiato pepe malesiano. Angelo lo apre e… “E che ci dovrei fare con questo?!” il suo amico risponde “E’ del pepe nero malesiano di Sarawak. Inventa un dolce! Per te sarà facilissimo!”.
Comunque, per arrivare al sodo, grazie a quel sacchetto di pepe di Sarawak nasce il Pan Pepato Imperiale. In questa versione oltre evidentemente al pepe nero di Sarawak ci sono anche dei frutti esotici tipici malesiani come papaia, ananas e spezie come lo zenzero.
Fonte: Ufficio stampa Eleonora Siddi
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