Collaborazioni | 2 Aprile 2020 | Fabio Ciarla
Benevento e la Falanghina del Sannio, un rapporto indissolubile
La Falanghina, uva bianca storica per la Campania ma con alterne vicende commerciali, è presente nella regione in due forme, o “biotipi” per essere tecnici: quello sannita e quello flegreo.
Due modi di interpretare il vino, due territori con storie diverse che hanno segnato il carattere delle persone e il loro modo di essere.
Oggi vi raccontiamo qualcosa del primo, ovvero di quello che è l’emblema della viticoltura del beneventano.
Siamo al centro dello Stivale, la zona è infatti ugualmente vicina all’Abruzzo e alla Puglia, non lontana dal Lazio, perfetta dunque per essere punto di passaggio e scambio, e quindi arricchimento, di popolazioni e merci.
Da questa zona, probabilmente, arrivavano le uve che davano vita all’antico e mitico ed eccezionale vino Falerno, con forti influssi greci e balcanici dovuti agli scambi con la Puglia sulle rotte della transumanza.
La fortunata posizione dell’area, inoltre, diede grandi vantaggi economici alla classe mercantile locale, capace di sfruttare le grandi produzioni “autoctone” facendole confluire verso il porto di Napoli per raggiungere così tutta Europa.
Tornando alla Falanghina, è interessante l’origine del nome che si deve, con tutta probabilità, al fatto che essendo un vitigno molto vigoroso doveva essere sostenuto con dei pali, detti appunto “falange”.
Altro punto di vanto il fatto di essere uno dei vitigni meno sensibili agli attacchi della fillossera.
Attualmente è probabilmente l’uva bianca più coltivata della Campania, superata solo dall’Aglianico (a bacca rossa appunto), e i due terzi delle superfici dedicate sono presenti proprio nel beneventano.
C’è un’altra certezza assoluta, molto particolare, che va citata: quando si parla di Falanghina del Sannio vinificata in purezza ed elevata a grande vino si può, e si deve, citare un “padre” universalmente riconosciuto: Leonardo Mustilli.
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