Blog | 23 Settembre 2015 | Fabio Ciarla
Mi sono imbucato a una riunione Assoenologi e… non crederete alle vostre orecchie!
NOTA METODOLOGICA: Lo dico subito a scanso di equivoci, a casa mia ci sono più enologi che bottiglie di vino, sono cresciuto in mezzo ai prodotti enologici e mai potrei parlare male seriamente di una professione che, appunto, è legata a doppio filo alla mia famiglia. Perciò, se vi venisse in mente di leggere questo post in modo “serio” sappiate che c’è un errore e che, invece, giocare ci mantiene giovani! Immaginate di leggere il resoconto di una mattinata in mezzo agli enologi di uno degli ultimi “appassionati” del vino, quelli che oggi fanno un po’ tendenza e che credono che il vino vero si faccia solo schiacciando l’uva mentre tutto il resto è complotto e taroccamento…
Ci sono riuscito, mi sono imbucato ad una riunione di enologi e ora finalmente tutti sapranno come taroccano il vino naturale questi amanti della chimica servi delle multinazionali!
Le condizioni che mi hanno permesso di partecipare ad un evento Assoenologi sono state due: il caldo di agosto che abbassa la diffidenza verso gli estranei e la complicità di un enologo un po’ ingenuo. Si, proprio così, ero nella tana del leone di chi ama il vino industriale e ho ascoltato tutto!
Capirete il misto di timore, per essere riconosciuto, e soddisfazione, per essermi imbucato, quando ho scoperto che a moderare l’incontro c’era proprio lui, il capo dei capi degli enologi e non solo (anzi, ultimamente sembra capace di essere in più posti allo stesso momento). Trattandosi di degustazione era stato convocato anche il dottore delle guide, ma non poteva certo mancare il rappresentante della multinazionale della chimica che sponsorizzava l’evento. Così proprio alla luce del sole, una cosa inaudita, da non credere!
L’incontro era dedicato al Vermentino e dopo un po’ di chiacchiere su come l’Assoenologi dovrebbe conquistare il mondo passando per EXPO, è iniziata la degustazione vera e propria. Liguria, Toscana e Sardegna la scelta e già qui c’era la consapevolezza di voler omologare il gusto. Gli enologi fanno finta di non sapere che esistono splendidi vermentini della Basilicata e del Trentino. Ma andiamo avanti, davvero non potrete credere alle vostre orecchie quando vi dirò quello che ho scoperto.
Il Vermentino ligure e uno di quelli toscani (molto famoso) avevano degli evidenti sentori internazionali nel profilo aromatico e, pensate, qualcuno in sala ha avuto anche il coraggio di dirlo! Secondo me scopriremo presto che questi avventati enologi dissidenti, hanno finito le loro carriere in qualche cantina sperduta in Mongolia…
A metà mattinata ecco l’intervento dello sponsor, un’azienda che produce le polverine per fare il vino con l’acqua e un po’ di zucchero. Insomma quelli che fanno i soldi con i loro preparati e che vorrebbero l’omologazione dei vini di tutto il mondo così da poter vendere a tutti la stessa ricetta. Tanto efficace che, su tre ore di incontro, il tizio in questione avrà parlato sì e no 5 minuti. Ma per gli enologi presenti evidentemente è bastato a capire dove e come taroccare il vino.
Dopo la pausa rieccoci con il Vermentino, questa volta con quello coltivato in Sardegna. Prima il base, poi la riserva e infine una vendemmia tardiva. A parlarne c’era ancora un enologo, dicono che è quello che ha “inventato” il più famoso vino bianco della Gallura, e per far passare la cosa come “naturale” pensate che parlava con l’accento sardo e aveva anche un cognome sardo. Le studiano tutte questi enologi per confondere le acque, anzi il vino… Insomma questo comincia a parlare dei suoi vini, ci racconta delle rocce granitiche, delle varie temperature in base ai vigneti, del ruolo del mare e del vento. Arriva addirittura a raccontarci come nella pruina delle uve molto spesso si depositino i pollini delle piante nate spontaneamente in mezzo alla vigna, il che completa lo spettro olfattivo dei loro vini con caratteristiche davvero uniche. Insomma gira di qua e gira di là, l’enologo sardo ci svela il segreto alla base dell’invenzione del suo vino più famoso. Pensate, voleva farci credere che il vino bianco più famoso della Gallura sarebbe nato dalla sua cocciutaggine nell’adoperare la ricetta di suo nonno, ovvero macerazione delle uve per una notte con i lieviti del pied de cuve. Niente polverine per gli aromi, niente taroccamenti del gusto, niente di niente… Ma vi rendete conto? Cioè gli enologi ci vorrebbero far credere che sanno fare i vini in modo “naturale”!
È evidente che sto vaneggiando. Non è possibile che gli enologi sappiano fare anche vini senza chimica, perciò prendete questo post come un semplice esercizio di stile o un racconto di fantasia e continuate a pensare che il vino vero è quello “naturale” e che basta spremere l’uva per farlo. Tutti gli altri sono prodotti industriali taroccati frutto delle multinazionali e di enologi complici. Grazie e scusate il disturbo.
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