Comunicati | 18 Settembre 2020 | Fabio Ciarla
Vendemmia 2020. Bianchi e Spumanti. Parla l’enologa e biologa Dora Marchi
Dora Marchi. Toscana, laureata in Biologia ed Enologia; per 12 anni in Antinori; da 20 anni all’Enosis Meraviglia. E’ stata docente di enologia varietale al corso di Laurea di 1° e 2° livello di Viticoltura ed Enologia all’Unito. E’ membro della Commissione Tecnologia Enologica dell’OIV (Organizzazione Internazionale del Vino e della Vigna); è membro onorario dell’ONAV, della Confraternita I Moschettieri dell’Armagnac e dell’Ordine Confrèrie des Chevaliers du Tastevin – Clos Vougeot. E’ autrice e co-autrice di numerose pubblicazioni e ricerche sul vino.
“Questa vendemmia 2020, a dir poco particolare, è un’occasione di rinnovamento per tutti coloro che lavorano nel mondo del vino”. Esordisce così Dora Marchi, biologa ed enologa di lunga esperienza, Direttore Tecnico e Responsabile del Laboratorio Controllo Qualità nel Centro di Ricerca Applicata Enosis Meraviglia di Fubine, accanto all’enologo, per eccellenza, Donato Lanati.
“La differenza la faranno i bravi viticoltori, quelli che producono medie quantità e sono disposti a fare delle scelte in vigneto, non raccogliendo o facendo comunque un diradamento, diciamo sanitario; diversamente andrà per coloro che sceglieranno di raccogliere tutto. Le varietà precoci si sono dimostrate leggermente in anticipo e le abbondanti piogge hanno fatto aumentare la dimensione degli acini. L’ultimo mese sarà determinante, soprattutto per i vini che non hanno elementi di invecchiamento”.
“In Piemonte, l’annata non è da considerarsi siccitosa e l’uva sta maturando bene. Buono l’accumulo zuccherino a fronte di acidità basse e, quindi, di pH elevati. I pH più bassi si trovano nelle zone di maggiore altitudine; occorre pensarci al momento dell’impianto di nuovi vigneti, prediligendo porta-innesti resistenti alla siccità. In generale, le giornate limpide e le notti fredde, di queste ultime settimane, fanno molto bene alle uve, sia per la parte aromatica sia per il colore delle uve a bacca colorata”.
A determinare il risultato, è stato anche l’andamento climatico dell’intero anno: “l’inverno non è stato freddo; poche le giornate in cui il termometro è sceso sotto zero”.
Quali, dunque, i principali fattori che influenzano la maturità dell’uva?
“Sole/esposizione; superficie fogliare esposta; vigore; quantità di uva per ceppo; ripartizione della quantità: grappolo serrato e spargolo; disponibilità idrica. Maggiore energia equivale a maggiore fotosintesi, aumento dell’accumulo di zuccheri e di antociani, diminuzione dell’acidità totale con minore acido malico e citrico, aumento di alcuni aromi varietali (terpeni, norisoprenoidi e composti vanillici). Aumentando la quantità di foglie attive, aumenta la superficie fotosintetica. Diminuendo la quantità d’uva per ceppo, aumenta la qualità. Lo stress idrico durante l’invaiatura determina una minore estraibilità degli antociani per uno stiramento delle cellule della buccia”.
Analisi e assaggi delle uve possono fornire utili indicazioni per la vendemmia e relativamente alle precauzioni da adottare. Occorre fare scelte in vigna, per non raccogliere grappoli problematici a livello sanitario. Dalla vendemmia al mercato: dove sta andando? Parliamo di bianchi e di spumanti: quali i maggiori competitor?
“Secondo le statistiche, gli italiani bevono sempre più vino bianco e meno rosso (in termini di volume). Nel primo trimestre 2020, in crescita i vini spumanti (ottimo andamento per il Metodo Classico; il Metodo Martinotti si è mantenuto a livelli elevati); stabili le vendite dei vini spumanti dolci. I vini bianchi e rosati vincono sui rossi; a prevalere sulle scelte, sono i vini Doc e Itg. Da tenere, tuttavia, presente, che l’incremento del primo trimestre 2020 sarebbe stato determinato dalla necessità di accumulo in vista del lockdown e, negli States, dalla paura dei dazi”.
In Italia ci sono prodotti unici come il Prosecco, i vini aromatici come i Moscati e tante altre eccellenze, ma la competizione con i cugini dell’Oltralpe è sempre molto accesa.
“I francesi hanno Champagne e aziende che aziende che lavorano molto bene su qualità e marketing. Sono anche molto bravi a lavorare sulla longevità. I loro vini di 15 anni, per altro freschissimi, li definiscono ‘molto giovani’. Il bianco italiano più conosciuto, invece, è il Prosecco, ma ci sono zone, come l’alto Adige e alcuni territori dell’Alta Langa, che producono grandi spumanti. Per i bianchi secchi, il nostro punto di forza è avere tante varietà e quindi una variabilità genetica pazzesca. La Francia, invece, se la gioca su una decina di varietà al massimo. In ogni zona d’Italia ci sono vitigni diversi, che si sono particolarmente adattati al territorio; questa è la nostra forza”.
La longevità, sia per i vini bianchi sia per i vini rossi, è data dal territorio e dalla presenza di microelementi di composti azotati.
“Sui rossi, ormai, l’abbiamo capito bene: è il caso dei Baroli, ma anche di alcuni Sangiovese. Sui bianchi, invece, iniziamo adesso, ma per fortuna ce ne sono alcuni che si sono già distinti e che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali (al Concours de Grands Vins Blancs du Monde, il Miglior Bianco Secco al Mondo, categoria Monovitigno, è di Casa Broglia di Gavi ed è ‘firmato’ Donato Lanati), anche da parte dei consumatori”.
“In termini di bravura, i francesi ci battono solo in comunicazione e per pochi vini (il 2%)” puntualizza Lanati. “Il vino è una storia impressionante; in 2000 anni, i nostri contadini sono riusciti a selezionare e a individuare il posto ideale per coltivare per ognuna delle due mila varietà presenti, lungo le migliaia di ecosistemi diffusi sul ponte italiano del Mediterraneo. Siamo il Paese più ricco di varietà al mondo. Abbiamo dei grandi vitigni come Barbera, Nebbiolo e Sangiovese, ma anche delle grandi curiosità coltivate da artigiani eroici. Essere davanti ad un autoctono, coltivato da diverso tempo, è come avere davanti gli ambasciatori della cultura sociale. Il vino è capace di grande comunicazione sensoriale ed emozionale e lo fa attraverso colore, gusto e profumo. Solo nel profumo, ci sono 500 molecole in movimento: un tripudio di sensazioni senza pari, anche se, il nostro naso ne sente appena 150”.
“Abbiamo battuto tutti i Paesi del mondo e, da decenni, siamo sempre in finale con la Francia. Per battere i francesi, dobbiamo fare qualcosa di più: essere secondi vuol dire migliorare, ma senza scimmiottare nessuno. Le barrique, per esempio, a mio avviso” precisa Lanati, “non hanno nulla a che fare con i nostri vini. Nascondono la nostra identità e ci impediscono di esprimere il sapore del nostro territorio. Nella varietà c’è il Dna che produce la qualità. Il plus arriva da una determinata microzona che sfugge al dominio del Dna, quindi una qualità superiore. L’acino è il detentore di tutto: andamento stagionale e lavoro dell’uomo. Altro aspetto fondamentale, è la resa: non più del 35/40 hl per ettaro; un grappolo a tralcio. Il vitigno è un traduttore dell’energia solare ambientale per tutti i micro-andamenti della terra”. Nel Laboratorio di Ricerca Applicata Enosis Meraviglia di Fubine si sta studiando cosa determina la longevità del vino. “Non è, certamente, l’anidride solforosa, ma sono quelle micorrize legate radici presenti in uno specifico terreno. Anche qui, è il terreno che fa la differenza“.
“Lavorare sulla longevità significa partire dal terreno. E’ un gioco di territorio e non di cantina. Vigneti come quelli della zona del Barolo e del Brunello hanno il vantaggio che, mentre l’acino è verde, si formano dei carotenoidi che diventano norisoprenoidi, legati agli zuccheri e che passano dal mosto al vino, liberando le loro molecole profumate, e si staccano dagli zuccheri per idrolisi, dopo 3-4 anni. Con questi cambiamenti climatici, occorre fare attenzione a non portare l’uva in surmaturazione, altrimenti, i norisoprenoidi crollano”.
Fonte: Ufficio stampa Enosis
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