Blog | 6 Ottobre 2016 | Fabio Ciarla
Collisioni e la degustazione internazionale, ovvero di come si degusta tra esperti di tutto il mondo
Se c’è una cosa che posso dire di aver imparato dalla fortunata esperienza di Collisioni, che spero di ripetere ancora, è sicuramente la modalità di degustazione in un contesto internazionale.
Il panel, sia nella versione classica di Barolo sia in quella “on the road” di Jesi con l’Istituto Marchigiano Tutela Vini, è sempre stato di altissimo livello e con specializzazioni diverse. Dai sommelier agli importatori, compresi tanti giornalisti ed alcuni ristoratori, decine di professionisti provenienti da ogni parte del mondo seduti allo stesso tavolo ad assaggiare e a scoprire vini diversi. Dal bianco fresco da bere entro l’anno e dal costo sotto i dieci euro la bottiglia, fino ai rossi importanti da invecchiamento con un valore economico che sfiora le vette.
Quello che si nota, in tutte le situazioni e qualunque sia il prodotto che questi esperti hanno nel bicchiere, è l’approccio laico e pragmatico. Pochi fronzoli e tanta sostanza, si valuta l’equilibrio, si discute dell’originalità del vino e magari dell’omogeneità della denominazione (spesso le degustazioni sono organizzate per territorio), si ragiona sul posizionamento nel mercato e la fascia di prezzo. I produttori intervengono, si fanno domande sull’affinamento in legno, rese in vigna e tipologia di suolo, ma niente di accessorio. Una svolta per certe classi di appassionati, che puntano a indagare spesso la specifica produttiva sostanzialmente inutile, magari perché forse avrebbero poco da dire sul complesso di quel vino. Ma un cambio di rotta anche per alcuni produttori, soprattutto se abituati a parlare solo di premi delle guide e di storia di famiglia.
Insomma, se proprio vogliamo specificare di cosa stiamo parlando, mai una volta in giornate di degustazioni pienissime ho sentito chiedere che tipo di lieviti venissero usati in cantina. Stessa cosa per la parte più squisitamente degustativa, mai si è andati oltre il descrittore olfattivo principale (quando è stato nominato) mentre si è parlato sempre di equilibrio, eleganza, bevibilità, originalità. Mai e poi mai un esperto ha chiesto se il vino avesse ricevuto premi e da quale guida. Di certo sono diverse le prospettive, non siamo ad un concorso e non si ha neanche tempo di fare una disamina dettagliata dei singoli aspetti di un vino, tuttavia sono convinto che sia proprio l’approccio a essere diverso. Persone che valutano per lavoro e in continuazione centinaia di etichette di tutto il mondo non hanno tempo da perdere con i fronzoli, hanno un’idea del loro mercato di riferimento e vogliono farsi un’idea precisa ma concreta del vino che hanno nel bicchiere.
A questo punto però la domanda che mi faccio è: quelli che ho definito fronzoli, che potrebbe essere la scelta dei lieviti così come i diversi sentori esplicitati nell’approccio del sommelier o l’ultimo premio ricevuto, diventano secondari solo in un contesto del genere o sono realmente argomenti di scarsa importanza? È corretto impostare la comunicazione dei propri vini su temi tecnicamente non di primo piano (e basta dare un’occhiata a molto siti aziendali per farsi un’idea) o non si rischia piuttosto di fare presa solo su una ristretta fascia di appassionati?
Soprattutto credo si possa dare un consiglio ai produttori che si approcciano all’export: andate al sodo! Prima le cose importanti, poi e solo se richiesto si può parlare del resto. Facciamo già abbastanza fatica a presentare i nostri territori, piccoli e molto differenti tra loro, per non parlare dei nostri mille vitigni autoctoni, senza bisogno di complicare ulteriormente le cose. E lascio volutamente in sospeso il discorso delle Denominazioni, avrò modo di riparlarne più avanti quando vi racconterò dell’incontro, sempre a Collisioni in quel di Barolo a luglio, con Antonio Galloni. Che non è andato tanto per il sottile su questo argomento…
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